Direttore: Alessandro Plateroti

Se mettiamo insieme tutte le economie del mondo, arriviamo ad un PIL globale pari a circa $ 85.000 MD (anno riferimento 2021). Di questo, circa il 54% è stato prodotto dai 7 Paesi più forti (G7), con gli USA che da soli valgono circa $ 20.500 MD. Come si può immediatamente comprendere, dati fortemente disomogenei, con circa il 10% della popolazione mondiale (i G7 sommano circa 770ML di abitanti, contro una popolazione mondiale ormai vicina agli 8MD) che si “spartisce” il 54% della ricchezza globale.

Ma il dato che fa ancora più riflettere è il peso del debito globale, in continua crescita.

A fine marzo 2022, infatti, il debito complessivo (debito pubblico + debito privato, comprensivo del debito “corporate” emesso dalle società) ha superato la sbalorditiva cifra di $ 305.000 MD, equivalente ad un rapporto sul PIL pari a circa il 350% (peraltro in calo di ben 15 punti percentuali rispetto all’anno precedente grazie alla fortissima ripresa a cui abbiamo assistito nel corso del 2021). Da notare che il debito pubblico globale ha raggiunto il 103% del PIL (quindi siamo intorno a $ 87.000 MD totali), con una crescita di circa $ 17.000 MD dallo scoppio della pandemia, equivalenti al + 14%.

I Paesi che hanno maggiormente “contribuito”, nel 2022, al continuo aumento della massa debitoria sono la Cina, con + 2.500 MD $, e gli USA, con + 1.800 MD $. Il debito dei Paesi emergenti, i più esposti ai venti della crisi, hanno superato i $ 100.000 MD. Il debito corporate (escluse le società finanziarie) ha raggiunto i $ 236.000MD, facendo registrare un aumento di $ 40.000 MD da inizio pandemia.

Numeri inquietanti, che costituiscono ben più di un ostacolo sulla via della stabilità finanziaria. E un motivo in più per comprendere come l’aumento dei tassi, a cui le Banche Centrali stanno cercando di porre un freno con politiche monetarie restrittive, possa essere causa di distorsioni, se non di vere e proprie “crisi del debito”, con molte società non in grado di onorare non solo il pagamento delle cedole, ma anche il rimborso dei prestiti (anche se va detto che il livello di insolvenza delle società con merito creditizio meno positivo al momento è, in Europa, molto basso, pari a circa lo 0,7%, con il rischio che si porti verso il 3% nel caso in cui le condizioni monetarie peggiorassero ulteriormente, fino ad arrivare ad un ben più grave 5% se il conflitto ucraino dovesse protrarsi sino all’autunno).

Intanto, oltre alle preoccupazioni legate al costo del denaro, ieri i mercati ci hanno mostrato una volta di più la loro sensibilità alle notizie legate all’inflazione. In concomitanza con i deludenti bilanci comunicati dalle principali società operanti nel settore della grande distribuzione americana, si sono scatenate le vendite, che hanno colpito i principali indici USA, con il Nasdaq che ha perso il 5,0% e lo S&P in calo del 4%, mentre il Dow Jones ha limato del 3,2%. A trascinare verso il basso, come detto, i titoli legati ai consumi “discrezionali”, il cui settore ha perso il 5,9%, con alcune società che hanno fatto registrare cali delle proprie quotazioni a due cifre. Clamoroso il caso di Target, società leader nelle vendite al dettaglio, che ha perso il 27%, il maggior calo dal 1987; malissimo anche società come Dollar-Tree e Dollar General, specializzate nel “super-sconto”, con cali rispettivamente del 16% e del 12%. A dominare, evidentemente, la paura che la recessione non lasci scampo, provocando un drastico calo dei consumi che, unitamente a costi di gestione sempre maggiore per l’aumento delle materie prime (sempre Target, per esempio, ieri ha comunicato che i costi operativi quest’anno dovrebbero aumentare di circa $ 1 MD a causa della maggiorazione dei prezzi del carburante), causerà una revisione pesante dei bilanci aziendali ed una riduzione molto evidente degli utili.

Come sempre succede in concomitanza di cali così bruschi degli indici americani, questa mattina le borse asiatiche accusano il colpo, anche se in maniera più “controllata”. Il Nikkei perde circa l’1,90%, mentre Hong Kong, come noto “affollato” da molte società del settore tech, lascia sul terreno il 2,35%. Meglio va a Shanghai, che, seppur marginalmente, al momento è contraddistinta dal segno verde.

Futures intorno alla parità oltre Oceano, mentre in Europa mostrano cali che presagiscono ad un’apertura negativa intorno all’1%.

Ieri brusco calo delle quotazioni del petrolio: questa mattina il WTI è a $ 108, in rialzo dello 0,80%.

Gas naturale a $ 8,226 (- 1,90%).

Oro a $ 1.811, – 0,32%.

Spread di nuovo vicino a 200 bp (195), con il BTP che si riporta verso il 3%.

Treasury a 2,90%, in leggera crescita rispetto al rendimento di ieri (2,88%).

In recupero il $, che “schiaccia” l’€ vso 1,0482.

Bitcoin sempre sull’ottovolante, anche se “tiene” quota $ 29.000 (questa mattina $ 29.147, – 2%).

Ps: ormai si parla apertamente di RePowerEu, il piano lanciato dalla Commissione Europea per “sganciarsi” dalla dipendenza energetica russa. Un Piano che costerà, tra creazione di nuove infrastrutture (gasdotti e degassificatori) ed investimenti che mirano a ridurre i consumi (si parla di una riduzione della domanda di gas e petrolio di oltre il 5%), almeno € 300 MD. Abbiamo iniziato il report odierno parlando di quanto sia cresciuto negli ultimi mesi il debito. E lo finiamo pensando a quanto crescerà ancora…

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ultimo aggiornamento: 19-05-2022


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